Circa 7 anni fa ho scritto una lettera a me stessa. Alla me stessa che sarei stata nel futuro. Era parte di un esercizio di psicologia di una mia amica russa, incrociata durante un’esperienza di volontariato all’estero.
In realtà le lettere erano tre: una alla me stessa di lì a un anno; una alla me stessa di lì a 5 anni e una alla me stessa di lì a 10 anni.
Le conservo ancora in una scatola, con molta gelosia. La scatola è in uno scaffale alto e le lettere sono dentro una busta in mezzo a carte e fogli: non voglio che altri le trovino facilmente. Nessuno a parte me.
Non le cerco spesso, ma ogni tanto le penso e vado a ripescarle. Ogni volta che le rileggo è una sorpresa. In tutte e tre le lettere non avevo scritto grandi messaggi dal futuro, ma solo descritto una mia giornata, cosa stavo facendo e cosa mi frullava in testa, chi stavo aspettando e cosa avevo voglia di mangiare per cena.
Ricordo che la mia amica russa alla fine dell’esercizio aveva detto che quelle lettere non dovevano essere rilette come delle profezie inconsce, ma il segreto era rintracciare in tutte e tre il filo rosso che le legava: fatti, sentimenti, situazioni, aspirazioni che in qualche modo ritornavano.
Era come guardarle in trasparenza e scoprire che in filigrana c’era la stessa parola.
Ecco, tra le altre cose, in tutte e tre le lettere io ero alle prese con la scrittura di un libro. Nella fattispecie un libro per bambini.
Ora, non credo che in quegli scritti di 7 anni fa ci siano profezie inconsce, però la mia amica russa diceva che ciò che ritornava nelle lettere erano i nostri desideri più veri. E andavano seguiti come piccoli fari lontani, ma autentici.
Ecco, io di solito tendo a rispettare le consegne degli esercizi. E ne sono felice!
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